Dopo il declassamento del rating Usa adottato da Moody’s (da AAA ad Aa1), nessuna delle principali agenzie di rating classifica il debito statunitense come risk free. Anthony Willis, Columbia Threadneedle

La prima agenzia a decidere in tal senso era stata Stand and Poor’s nel 2011 facendo riferimento, tra le altre variabili, al deficit di bilancio allora al 6.8%, da allora, non molto è cambiato sul versante dei conti pubblici a stelle e strisce. Moody’s prevede un rialzo del deficit dal 6,4% del 2024 al 9% nel 2025. Il dato è nettamente lontano dal 3% promesso dal Segretario al Tesoro Scott Bessent entro la fine del mandato presidenziale del Presidente Trump, un obiettivo che richiederà una crescita economica significativa o una disciplina fiscale rigorosa.

I Treasury si sono mossi poco negli ultimi giorni e i mercati si aspettano una risoluzione in tempi stretti del problema del budget da parte del Congresso.

Tuttavia, anche l’arrivo di tale accordo non risolverà il problema del debito. E la situazione potrebbe continuare a peggiorare a causa dell’aumento del costo (in termini di interessi) sostenuto per pagare le nuove e più alte cedole agli investitori che decidono di acquistare Treasury.

Il declassamento di Moody’s ha un impatto pratico limitato, ma arriva in un momento critico:

l’attenzione è concentrata sul bilancio federale, sulle sue conseguenze per i futuri costi di finanziamento e sulla scarsa preoccupazione di Washington per la traiettoria del deficit.

Nel frattempo, Trump ha cercato di raggruppare molte delle sue promesse fiscali nel disegno di legge ora noto come “One Big Beautiful Bill Act”, attualmente all’esame del Congresso. Secondo il Comitato apartitico, per un bilancio federale responsabile, la proposta potrebbe aumentare il debito nazionale di almeno 3.300 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni.

Con un deficit degli Stati Uniti che cresce di circa 1.000 miliardi di dollari ogni 100 giorni, quali fattori potrebbero rallentare l’aumento del debito?

È improbabile che la moderazione fiscale arrivi dal partito repubblicano. L’insieme di questi fattori potrebbe portare alla richiesta di rendimenti più elevati da parte degli investitori internazionali. E fino a quando il dollaro sarà la valuta di riserva mondiale lo scenario non dovrebbe subire grandi scossoni.

L’andamento dell’inflazione e quello dell’economia determineranno le prossime decisioni delle agenzie di rating.

In passato, la Fed ha dimostrato grande attenzione alle tensioni nei mercati obbligazionari, intervenendo, se necessario, per evitare che una crisi del debito si trasformi in una crisi finanziaria. Tuttavia, la soglia per l’intervento rimane alta, e al di sotto di essa potrebbe verificarsi una certa volatilità. Ci sono certamente ragioni per una crescente cautela riguardo alla traiettoria del debito statunitense e al suo impatto sulla propensione al rischio nei mercati finanziari.


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Redazione

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