Come è cambiato l’investimento azionario dagli anni ’80 ad oggi. Neil Robson, head of global equities di Columbia Threadneedle Investments
La grande deflazione (1986-2008)
Quando sono entrato nel settore finanziario, nell’autunno del 1986, non avrei mai immaginato che la politica monetaria restrittiva di Paul Volker alla Federal Reserve avrebbe caratterizzato i primi 22 anni della mia carriera. A livello economico, questo è stato un periodo di forte crescita del PIL. Il costante calo dei tassi d’interesse e l’aumento degli acquisti da parte dei consumatori hanno fatto aumentare inesorabilmente il livello del debito in tutto il mondo, rafforzando ulteriormente la crescita economica e prolungando i cicli economici, tanto che il PIL è aumentato oltre la crescita tendenziale.
Per gli investitori azionari, tutto questo si è tradotto in un compromesso tra crescita e inflazione che ha spinto al rialzo le valutazioni in un contesto di riduzione del costo del capitale. I maggiori livelli di indebitamento delle imprese, non controbilanciati da maggiori costi per gli interessi, contribuirono ad una crescita degli utili superiore alla media. Questo trend fu ulteriormente rafforzato dal taglio delle imposte sulle società operato dai governi. Sorprendentemente, in un periodo di tassi d’interesse in calo, i titoli value erano più richiesti rispetto ai growth, anche a causa del modello di business prevalente in quegli anni, quello della ristrutturazione o del Valore Economico Aggiunto, teorizzato da Stern Stewart.
Per 22 anni, si è assisto ad una combinazione di forte crescita, tassi d’interesse in calo e ad una predominanza dei titoli value sul mercato azionario. Un momento di rottura è stato lo scoppio della bolla tecnologica tra il 1999 e il 2000, quando il mercato ha iniziato a capire ciò che sarebbe poi accaduto con l’era di internet. Nel momento in cui questo periodo “Goldilocks” stava terminando, la più grande forza lavoro mondiale, la Cina, fece il suo ingresso nell’economia globale, offrendo alle imprese un nuovo enorme mercato dei consumi; evento che ha contribuito a far incrementare la crescita economica tenendo bassa l’inflazione nel mondo.
La crisi finanziaria globale (2008-2020) e le sue conseguenze
Lo studio di Reinhart e Rogoff “Growth in a Time of Debt” (La crescita ai tempi del debito) è diventato la roadmap per il mondo all’indomani della crisi finanziaria. L’economia globale ha attraversato un prolungato periodo di crescita bassa, a causa del rimborso dei debiti e di eventi quali la crisi dell’euro – incentrata su Grecia, Italia e altre nazioni europee periferiche. Tra il 2012, dopo l’iniziale ripresa dalla crisi finanziaria globale, e il 2021 la crescita degli utili all’interno dell’indice MSCI All Country World (ACWI) è stata sostanzialmente nulla per ben 13 anni. Di fatto, dal 2007 fino alla ripresa dalla pandemia di Covid-19, non c’è stata alcuna crescita degli utili per azione (EPS) nel mondo nonostante gli ingenti contributi provenienti dal settore tecnologico.
L’adozione dei trend tecnologici (internet, social media, pubblicità online, e-commerce e smartphone), che il mercato aveva iniziato a percepire nel biennio 1999-2000, è stata l’unico segnale di crescita in un periodo dove non si registrano utili e i tassi d’interesse erano a zero. Ma la crescita non è rimasta limitata alla tecnologia, a beneficiarne sono state più aree, come le tecnologie mediche, la comunicazione, i pagamenti, gli scambi e alcuni beni di consumo (principalmente del lusso). In questo periodo sono stati i titoli growth ad essere predominanti nei portafogli. La miglior strategia era il “buy-and-hold”; perché nient’altro era in grado di generare utili e i tassi d’interesse continuavano a scendere, sostenendo le valutazioni che, al contrario, lievitavano sempre di più. Come accadde con la Cina nei primi anni 2000, proprio quando credevamo che la sovraperformance dei titoli growth stesse finendo, è arrivata la crisi pandemica.
Post-pandemia (2020-2023): tutto cambia
Oggi lo sappiamo con certezza: è difficile fare ripartire l’economia mondiale dopo che si è fermata. Dopo il brusco stop, la domanda robusta dei consumatori ha incontrato un’offerta insufficiente, causando un aumento dei prezzi. Con la compressione dei redditi reali, i lavoratori occupati in un mercato del lavoro caratterizzato da condizioni tese hanno chiesto incrementi salariali innescando la spirale prezzi-salari. Le banche centrali alla fine hanno reagito con la più grande stretta monetaria dai tempi di Volker. Ad oggi, l’inflazione sta diminuendo e l’economia è finora riuscita a evitare la recessione.
Il prossimo decennio
Sebbene l’inflazione al 10% del periodo post-pandemia fosse probabilmente transitoria, ci sono ragioni per credere che questa rimarrà a liveli più elevati rispetto al passato. L’esaurimento della manodopera in Cina e le tensioni geopolitiche, unite all’esperienza pandemica negativa legata alle lunghe catene di approvvigionamento, stanno favorendo pratiche di onshoring o nearshoring. Per quanto riguarda il processo di sostituzione delle fonti energetiche, molte di queste hanno costi marginali prossimi allo zero, ma i costi per il capitale iniziale sono ingenti e potrebbero aumentare le pressioni inflazionistiche.
Le prospettive di investimento per il prossimo decennio sembrano positive e gli investimenti dovrebbero contribuire sensibilmente alla crescita del PIL. Nonostante gli attuali timori di recessione, le prospettive economiche per il prossimo decennio dovrebbero essere migliori che negli ultimi 13 anni. Le azioni dovrebbero quotare su livelli più elevati delle obbligazioni. Una crescita del PIL nominale superiore implica una maggiore crescita dei fatturati per le imprese e, si spera, anche dei cash flow e della redditività. Gran parte dell’aumento delle valutazioni azionarie rispetto alle obbligazioni è già avvenuto. Le azioni sembrano sopravvalutate rispetto al periodo post-crisi finanziaria globale, ma le loro valutazioni sono corrette se si considerano le migliori prospettive di crescita del PIL nominale.
Passando alla composizione dei portafogli, il prossimo decennio potrebbe premiare maggiormente una strategia di diversificazione. La crescita degli utili a livello di mercato sarà superiore e distribuita in modo più uniforme rispetto al periodo post-crisi finanziaria globale. La nostra filosofia è quella di puntare su una crescita di qualità. Un’azienda “di qualità” ha vantaggi competitivi che si traducono in margini di profitto elevati, cash flow solidi e prevedibilità. Un aspetto a cui prestare particolare attenzione nel futuro è la qualità dei bilanci. Prima della crisi finanziaria globale, il dibattito growth versus value era quasi inesistente. Escludendo il periodo della bolla tecnologica, i rendimenti degli indici MSCI World Growth e MSCI World Value mostravano una correlazione pari allo 0,88. La correlazione potrebbe essere maggiore nel prossimo decennio; la crescita di alcuni titoli delle mega cap tecnologiche risulterà più moderata proprio quando il denominatore dell’impresa media migliora, riducendo il divario nella crescita degli utili.
Infine, il settore tecnologico è stato al centro dei nostri portafogli azionari globali per moltissimo tempo. La crescente intensità tecnologica del PIL è una tendenza di lungo periodo che noi crediamo continuerà, e forse accellererà, nel prossimo decennio. La durata del vantaggio competitivo in questo settore, che può portare all’emergere di situazioni di oligopolio o addirittura di monopolio, è difficile da individuare con certezza. Tuttavia, la quantità di valore aggiunto che queste aziende producono nel loro periodo di dominio è estrema. Il settore tecnologico resterà probabilmente al centro dei portafogli di Columbia Threadneedle Investments nel prossimo decennio, anche se i titoli potrebbero cambiare con l’emergere di nuove tendenze.
Redazione
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