Prosegue l’inchiesta di Fondi&Sicav sull’azionario emergente con il contributo di Juliana Hansveden, Portfolio Manager – Global Emerging Markets, Nordea

Juliana Hansveden, Nordea

Nel decennio appena conclusosi, gli indici azionari composti dall’universo dei paesi emergenti non sono stati in grado di seguire il trend rialzista delle principali Borse delle aree sviluppate. Quali sono, a vostro giudizio,  le ragioni alla base della sottoperformance? 

È vero che il decennio appena conclusosi è stato caratterizzato da un predominio delle azioni statunitensi. Durante questo periodo, le azioni Usa hanno registrato un tasso di crescita annuo composto (CAGR) del 13,6%, contro il 4,1% delle azioni MSCI Emerging Markets.
Scomponendo il rendimento delle azioni dei Mercati Emergenti nell’ultimo decennio (da fine 2009 a fine 2019), vediamo che la crescita degli utili ha contribuito per il 3,5%, i dividendi per il 3%, il rapporto prezzo/utile dello 0,1% e la valuta per il -2,5%. Questo risultato corrisponde al 4,1% che è stato il CAGR del periodo.

In altre parole, la crescita degli utili non è stata particolarmente forte, soprattutto rispetto all’S&P 500 che ha generato un CAGR dell’8,2% in questo periodo. Quali sono le ragioni di questo basso tasso di crescita dei profitti? Diverse aree a bassa crescita hanno trascinato al ribasso il risultato, tra cui le situazioni finanziarie coreane e cinesi, che costituiscono gran parte del benchmark, ma sono datate, competitive e, in Cina, perturbate da player statali con programmi che minano il profitto.
Anche il settore di beni voluttuari cinesi ha fatto sorprendentemente male in termini di crescita degli utili, nonostante le evidenti opportunità di crescita in questo ambito.

Attualmente sta crescendo il numero di esperti che inserisce l’equity emergente tra le asset class favorite per il 2020. Concordate o no con questa view? Per quali ragioni? 

Concordiamo con questa view. Guardando al futuro, le azioni dei Mercati Emergenti beneficeranno di molti vantaggi.

Ecco i principali:

1) Allentamento monetario Usa che supporta le valute dei Mercati Emergenti
2) La fine dell’aggressiva repressione del sistema bancario ombra cinese che ha lasciato molti individui e piccole e medie imprese senza finanziamenti
3) Una parziale risoluzione della guerra commerciale USA-Cina
4) Allentamento monetario degli Emerging Market, compreso il Brasile, dove il tasso di interesse di riferimento è stato ridotto di 975 bps rispetto al 2016
5) Riforma economica in Brasile e in India che aumenta il tasso di crescita potenziale a lungo termine di queste economie
6) Una stima interessante: il rapporto prezzo/utile su 12 mesi dell’indice MSCI Emerging Markets scambia a sconto del 25% sull’MSCI Developed Markets. I punti da 2 a 5 sono propensi a stimolare la crescita del Pil nei Mercati Emergenti, e questo è probabilmente il motivo di una più rapida crescita dei guadagni, ma questo non è l’unico fattore da tenere d’occhio. Altri driver, come la forte crescita delle imprese in attivo in aree come l’e-commerce e l’IT, e il relativo declino delle imprese a bassa redditività in settori come quello dei beni materiali e dei servizi finanziari cinesi, determineranno probabilmente un miglioramento della crescita dei guadagni per i Mercati Emergenti nel loro complesso.
Infine, una revisione del rapporto prezzo/ricavi potrebbe rappresentare un’ulteriore spinta ai rendimenti.


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Stefania Basso

Laureata all'Università Statale di Milano, dal 2006 collaboro con Fondi&Sicav. Lunga esperienza nel settore del risparmio gestito come marketing manager presso Franklin Templeton Investments e J.P. Morgan Fleming Am a Milano e a Lussemburgo. Breve esperienza presso Lob Media Relations come ufficio stampa per alcune realtà finanziarie estere. In tutto il mio percorso professionale ho lavorato a stretto contatto con persone provenienti da diverse parti del mondo, che mi hanno permesso di avere un approccio dinamico e stimolante e di apprendere attraverso il confronto con realtà differenti.