Chi pensava che gli investitori non si sarebbero più stupiti di niente, abituati come sono ad assistere a sviluppi strambi e scioccanti sui mercati finanziari, è stato smentito all’inizio di questa settimana, quando i prezzi del petrolio sono crollati sotto zero.
Un valore di -40 dollari al barile per l’oro nero non solo non è normale, ma non è nemmeno concepibile. Dopo aver iniziato la seduta a quota 10 dollari, il valore del contratto WTI con scadenza a maggio è piombato a meno 40 dollari.
Per usare le parole di Daniel Yergin, uno storico del petrolio vincitore del premio Pulitzer, che a sua volta ha parafrasato lo scrittore americano T.S. Elliot e la sua poesia The Hollow Men:
“il contratto del petrolio a maggio non sta finendo con uno schianto bensì con un urlo primordiale“.
Petrolio: situazione paradossale e critica, da non sminuire
Il future di riferimento Usa a quei livelli significa che c’è talmente tanta offerta di petrolio rispetto alla domanda nell’economia globale – in pieno coma indotto per effetto del lockdown – che chi vende è disposto a pagare pur di liberarsene.
È una situazione paradossale, che nonostante quanto dicano i più ottimisti, potrebbe anche peggiorare visto che non c’è più spazio per lo stoccaggio di petrolio greggio. Ovviamente chi cita motivi tecnici di mercato legati a questo tipo particolare di contratto in America ha le sue ragioni. In primis il fatto che il contratto benchmark è quello con termine giugno e non maggio. Al momento scambia in area $19 al barile (più del doppio degli 8,10 dollari del future del prossimo mese).
Non è così raro poi che i prezzi del contratto con la scadenza più ravvicinata scendano al di sotto del valore del future del mese successivo. Ma la situazione è evidentemente molto più complessa e – visto il contesto straordinari in cui troviamo – soprattutto critica. Secondo numerosi strategist dovrebbe essere un campanello d’allarme per le Borse e gli altri mercati, la cui ripresa potrebbe avere vita breve.
Campanello d’allarme per l’azionario
Il rallentamento della diffusione del virus e il calo dei tassi di contagi in alcuni dei paesi del mondo occidentale è sicuramente incoraggiante. Ma sta alimentando probabilmente un ottimismo eccessivo sull’andamento a breve termine delle Borse. Sicuramente è una crisi destinata a essere superata non appena si saprà di piủ sul Covid-19 e quando si troverà una cura. Ossia tra diversi mesi e molto difficilmente prima.
Di per sé i miglioramenti sul fronte delle contaminazioni non è abbastanza incoraggiante da giustificare un balzo del 26% per cento dell’indice S&P 500 nell’ultimo mese. Lo strategist dell’azionario globale di Goldman Sachs, Peter Oppenheimer, ha avvisato che
“il rally è stato con ogni probabilità troppo rapido e probabilmente ci sono ancora rischi al ribasso da qui in avanti“.
Da marzo i titoli più rischiosi – azioni ma anche bond – si sono risollevati grazie alle iniezioni di liquidità massicce e coordinate delle banche centrali. La Federal Reserve sta comprando persino titoli del reddito fisso high-yield. Questo sta incoraggiando gli investitori – specie quelli con liquidità a disposizione – a fare incetta di azioni.
C’è un problema: la Fed non sta acquistando contratti di petrolio
C’è un particolare da prendere in considerazione tuttavia: la Fed non sta comprando petrolio. Acquistare azioni nella convinzione di avere il sostegno delle banche centrali è un conto. E la maggior parte dei gestori di fondi sono concordi nel ritenere di successo le operazioni dei banchieri centrali se l’obiettivo era quello di neutralizzare le minacce al sistema finanziario.
Ma la sola idea che si tratti di una ripresa organica, che le società e l’economia hanno superato il peggio e che ci avviamo verso un ritorno alla normalità, è illusorio. D’altronde basterebbe guardarsi intorno. Il tasso di disoccupazione Usa si avvicina al 20% e la Cina ha subito una contrazione storica dell’attività economica.
Alcune delle principali economia europee devono sperare che gli aiuti a famiglie e imprese funzionino, limitando i danni e i tassi di default societari. Il rallentamento della propagazione del coronavirus in alcune aree geografiche è senza dubbio incoraggiante. Ma è insufficiente a cantare già vittoria.
Il collasso dei prezzi del petrolio appena sperimentato, sebbene sulla carta favorevole ai consumatori, farà probabilmente male ai portafogli dei risparmiatori nel complesso. Questo perché la maggior parte dei fondi pensionistici sono fortemente esposti alle big del petrolio tramite fondi comuni ed ETF che replicano l’andamento dei mercati azionari.
È inutile nascondersi. Il secondo trimestre sarà una brutta botta per tutti. Secondo Karen Ward, chief markets strategist di JP Morgan Asset Management per l’area EMEA, sarà particolarmente “terribile” per gli utili societari.
“I mercati sono ancora un po’ troppo ottimisti. E questa è una fonte di preoccupazione per me”.
Daniele Chicca
Laureato in lingue e letterature straniere all'Università di Bologna, con un anno presso la UCL di Londra, è giornalista professionista dal 2007. Partendo da Reuters si è con il tempo specializzato in finanza, economia e politica. Grazie a competenze SEO e social, ha contribuito a portare a un incremento del traffico progressivo sul sito Wall Street Italia (in qualità di responsabile editoriale). È stato inviato da New York per Radio Rai e per varie agenzie stampa, tra cui AGI e TMNews (ex Apcom). Al momento si occupa della strategia di comunicazione di alcune startup svizzere specializzate in crypto, FinTech, materie prime e mondo del lavoro.

